Mio padre Carlo, primo giocatore forlivese ad aver giocato in A, di basket ne ha sempre capito molto. Severo ma giusto, comprensivo ma spesso inflessibile, quel venerdì sera di metà ottobre del 1978, non si intenerì di fronte alle mie suppliche: “Babbo, questa sera al palazzetto c'è la prima giornata del torneo “Terme di Castrocaro”, due partite, una alle 19 ed una alle 21. Noi giochiamo alle 21 e ci sarà l'esordio del nostro nuovo americano, tale Rod Griffin, che tutti dicono sia fortissimo. Ci andiamo vero?”
“Io ci andrò. Tu no. Resterai a casa e andrai a letto presto perché la partita finirà tardi, non prima delle 23, e tu domani mattina devi andare a scuola”.
“Ma babbo, dai, è la prima volta che giochiamo in casa e poi c'è il nuovo americano...” tentai di insistere con aria compassionevole.
Lo sguardo di mio padre però non ammetteva repliche (una volta funzionava così nelle famiglie). Poi però aggiunse: “Domani sera, sabato, andremo a vedere le finali”.
Sconfitta sì, ma almeno con onore.
La mattina dopo, non appena alzato, mio padre era già vestito e stava per uscire.
“Babbo, allora com'è andata?”
“Abbiamo vinto!”
“Uauu! E com'è Griffin? Com'è, è forte?”
“E' forte, è molto forte”.
Una sentenza. Giusta e beneaugurante.

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Ebbene sì, la “colpa” è stata di papà Mariano e mamma Liliana i due genitori illuminati di Maurizio e Gabriele Gherardini. Che, caso più unico che raro, in una cittadina di Forlì e correndo l'anno 1972 (!!!), assecondandone l'indole, decisero di mandare il loro primogenito Maurizio, classe 1955, a frequentare un anno di scuola superiore negli USA, esattamente a St.Louis, Missouri. Dopo un anno Maurizio tornò a casa e a Forlì per gli amici non era più Maurizio ma “l'americhen”. Padrone della lingua - non come Albertone Sordi nel capolavoro di Steno... - per Maurizio accanto all'impiego in banca, l'ingresso nella principale squadra di pallacanestro cittadina, è immediato e quasi automatico.

Maurizio ricopre vari ruoli ed incarichi, ma soprattutto, quello di traduttore-interprete.accompagnatore dei vari americani che arrivano in città. Ma oltre a questo i suoi contatti, la sua voglia di esplorare il mondo, di fare esperienze, conoscenze e tenere rapporti e contatti con personaggi del mondo NBA ed NCAA lo fanno diventare immediatamente un punto di riferimento per tutti. Anche e soprattutto per quelle squadre di college che volevano venire a giocare e fare tornei nel nostro paese. E infatti Maurizio viene coinvolto dalla Federazione nell'organizzazione del torneo in programma dal 20 al 23 giugno 1978 all'Arsenale di Venezia con la presenza della nazionale italiana, di Polonia, Bosna Sarajevo e Syracuse University. Solo che a poche settimane dal torneo Syracuse comunica la sua indisponibilità. La Fip è chiara: il problema lo deve risolvere Maurizio. Che infatti, grazie agli agganci ed alle conoscenze con Syracuse, riesce a mettersi in contatto con Wake Forest University, college del North Carolina, che accetta di venire in Italia ma comunica che scenderà in campo solo con una squadra formata da giocatori appena laureati, vale a dire che avevano terminato il quarto anno di studi. Gherardini li accoglie a Venezia e diventa in pratica la loro guida-accompagnatore-assistente.

Conosce così le due stelle della squadra: Larry McDonald, guardia-ala di 1.95 e Rod Griffin ala di 2 metri.

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McDonald è più ciarliero e simpatico, Griffin invece, che ha compiuto 22 anni il 18 giugno, proprio pochi giorni prima dell'inizio del quadrangolare, è più timido e chiuso. Gherardini rimane a bocca aperta e quasi non crede ai suoi occhi quando nella sconfitta della sua Wake Forest contro l'Italia 106-95, Griffin domina la partita e contro i lunghi italiani chiude con una prestazione da 32 punti e 15 rimbalzi, con alcuni numeri che strappano applausi a scena aperta da parte del pubblico dell'Arsenale.

Gherardini resta con Griffin e con la squadra per quattro giorni fino al loro ritorno negli Stati Uniti. In cerca di due stranieri per la Jolly Colombani dopo la decisione del club di non confermare Steve Mitchell e quella del tiratore Kim Anderson di accettare un contratto con i Portland Trail Blazers, Gherardini sogna di poter portare in Italia uno come Griffin. Ma Griffin è stata una prima scelta del Draft NBA chiamato dai Denver Nuggets con il numero 17, vuole andare nella NBA e quindi...

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A circa tre settimane dall'inizio del campionato di A2, la Jolly ha solo un americano: Al Carlson, centro di 2.11. Manca il secondo perché, come succedeva in quegli anni, sbagliare americano non si poteva proprio, pena la retrocessione o quantomeno un campionato scadente! Quando alla sede di corso Mazzini di Forlì giunge una notizia inaspettata: Denver ha tagliato Rod Griffin! Gherardini, all'epoca assistente allenatore, contatta subito la dirigenza: sarà impossibile o quasi, ma un tentativo va fatto. E un tentativo viene fatto. Gherardini viene a sapere che Griffin è rappresentato dalla ProServ, l'agenzia sportiva di procuratori più nota e conosciuta degli Stati Uniti. Il contatto è reso possibile perché il Ghera dice di conoscere bene e di essere in buoni rapporti con lui. Ricordate il torneo di Venezia? Il giocatore è giù, non vuole rimettersi sul mercato americano e chissà mai che una stagione in Italia, cambiando ambiente e tipo di basket non sia quello che ci vuole? Donald Dell, il potentissimo capo della ProServ riflette ed alla fine manda il giocatore in Italia insieme ad uno dei suoi più tanti collaboratori, tale David Falk che di lì a pochi anni diventerà l'agente di Patrick Ewing e di un certo Michael Jordan.

Nonostante la timidezza di Griffin, Rod e Maurizio si salutano come due vecchi amici. L'incontro è proficuo e, grazie anche alle tagliatelle della signora Liliana, l'impatto positivo con una città piccola ma tranquilla, un ambiente giusto, la curiosità di misurarsi con un basket diverso e la buona offerta contrattuale, Rod Griffin firma e diventa un giocatore della Libertas Pallacanestro Forlì, sponsorizzata JollyColombani. E' una data storica: per l basket forlivese ma anche per la pallacanestro italiana. Griffin diventa il quinto giocatore americano nella storia della Libertas dopo Gennari, Mitchell, Anderson e Carlson, il primo atleta di colore, ma soprattutto il primo giocatore scelto al primo giro del Draft 1978, insomma come si diceva allora una “prima scelta”. Prima di lui altre due “prime scelte” erano arrivate in Italia, ma non solo per giocare a basket: Bill Bradley (scelto con il numero 3), al Simmenthal Milano nel 1965 e Tom McMillen (numero 9 del Draft) nel 1975 alla Virtus Bologna.

Entrambi però arrivarono in Europa per studiare all'Università di Oxford ed approfittarono dell'offerta dei due club italiani per non restare un anno senza giocare, ma non vennero direttamente in Italia per giocare a basket. Rod Griffin invece sì. E il fatto che lo fece per  una squadra di A2 come Forlì fece scalpore.

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Quel sabato sera di ottobre la finale del torneo di Castrocaro vide di fronte la Jolly alla Jugoplastika di Zeljko Jerkov, centro titolare della nazionale della nazionale della Jugoslavia e della guardia Peter Vilfan, anche lui nazionale. La Jolly vinse 97-91. Jerkov chiude con 19 punti e Vilfan con 30 che però nulla poterono di fronte ai 23 di Zonta e ai 18 di Carlson.

E Griffin? Si capì immediatamente che era qualcosa che sui campi da basket italiani non si era mai visto. Chiuse con 32 punti facendo letteralmente quello che voleva. Un giocatore che a Forlì nessuno aveva mai visto – e passi – ma che in Italia nessuno aveva mai visto. Il fine settimana successivo, a sette giorni dall'esordio in campionato in casa contro la Pintinox Brescia, Forlì fu di scena a Faenza al torneo “Leon d'oro” insieme a Sarila Rimini, Bosna Sarajevo ed Emerson Varese.

Altro show di Griffin con Forlì che vinse il torneo e Rod che venne premiato come miglior giocatore. I forlivesi, ma anche i faentini e quei pochi riminesi e varesini non credono ai loro occhi. Griffin pare un giocatore capitato per caso da un altro pianeta. Quello che farà nella sua prima stagione forlivese resta indimenticabile per tutti.

L'urlo, il grido di battaglia per esaltarsi diventa in men che non si dica “Rod-Rod Superstar! Rod-Rod Superstar!”.

Le sue schiacciate ad una mano o a due staccando lontanissimo, i suoi rimbalzi strappati con una mano che arpiona il pallone e lo strappa da altezze proibitive, i suoi tiri in controtempo, le sue stoppate, le sue partenze in palleggio, i suoi tiri, le entrate... sono e restano gioielli, perle di una tecnica cestistica unita ad un atletismo che non ha confronti per un giocatore di quelle fattezze e di quelle dimensioni.

Rod diventa la stella di una squadra che con il passare dei giorni, degli allenamenti e delle partite viene costruita e plasmata attorno a lui, di cui lui è il faro, il centro di aggregazione, praticamente tutto. Forlì è orgogliosa del suo campione per cui tutti stravedono. Che dietro a quegli occhioni un po' spaesati e quella camminata ondulante, racchiude un sorriso meraviglioso ed un carattere che fatica ad aprirsi, ma quando lo fa è coinvolgente. Per ammirarlo arrivano sulle gradinate del Romiti da Cesena, da Faenza, da Ravenna ed anche da Bologna.

Quando la Jolly è in trasferta, su qualsiasi campo, i tifosi avversari inizialmente lo fischiano, poi dopo poche azioni per lui ci sono solo applausi e boati sincera ammirazione. Ed anche un po' di invidia per chi quel fenomeno se lo può godere ogni domenica o quasi. La JollyColombani ad inizio aprile 1979 conquista il secondo posto alle spalle della Superga Mestre e l'automatica promozione in A1. Ciliegina sulla torta per Mestre e Forlì lo spareggio al palasport di Bologna rispettivamente contro Xerox Milano e Antonini Siena per un posto nei quarti playoff. Mercoledì 11 aprile nell'impianto di piazza Azzarita ci sono 8000 spettatori, tutto esaurito e quattro tifoserie: Milano, Mestre, Siena e Forlì. E dopo la vittoria di Milano contro Mestre gli 8000 assistono ad uno spettacolo straordinario, quello messo in piedi da Rod “Superstar” Griffin contro Siena. La “Pantera” di Forlì segna 21 punti nel solo primo tempo con un campionario di numeri da NBA, da All-Star Game, da Gara delle Schiacciate, da quello che vi viene in mente. La schiacciata ad una mano staccando un passo dopo la linea di tiro libero e quasi sorvolando George Bucci rimane indelebile, pietra preziosa fra le tante gemme incastonate nel talento di Roderick.

Il pubblico non tifa per Forlì, tifa per Griffin! Mestrini, milanesi, i bolognesi neutrali, ovviamente i forlivesi ed un po' anche i senesi. Siena vincerà la partita 82-79. Griffin, dimenticato in panchina da coach Ezio Cardaioli per buona parte del secondo tempo, chiude solo con 24 punti. Ma i suoi numeri restano indimenticabili.

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Griffin a Forlì è stato molto bene. E' l'indiscusso beniamino della città, ma il tarlo NBA non lo abbandona e dopo la promozione lascia la Romagna. Per fortuna nostra e per sfortuna sua, nemmeno il suo secondo tentativo di trovare un posto nella National Basketball Association va a buon fine e così all'inizio della stagione 1980-1981, Rod “Superstar” è di nuovo pronto ad infiammare i tifosi forlivesi e di tutta Italia.

Con le sue movenze feline, la sua tecnica, i suoi salti, i suoi balzi felini, la sua spettacolarità che si concretizza nel brusio crescente che sale ogniqualvolta Rod è pronto per spiccare il balzo.

Noi tifosi, appassionati ed anche cittadini di Forlì siamo stati fieri ed orgogliosi di averlo ammirato per sette anni, sette lunghe ed indimenticabili stagioni. Perché quando lui scendeva in campo ci si poteva aspettare di tutto: una specie di NBA made in Forlì. E perché quando camminava per le vie della città era bello vedere il suo sorriso timido ma bellissimo che ricambiava il saluto. In sette campionati fra A1 e A2 non è mai sceso sotto i 20 punti ed il 52% da due punti.

Poi se lo sono goduto a Livorno (sponda Libertas), Montecatini, Cremona e Pavia. Ma quello che ha fatto nei sette campionati al Villa Romiti ce lo teniamo stretto perché non lo ha più fatto vedere da nessuna parte. Ma i numeri per Roderick Rod Griffin non dicono e non spiegano nulla di lui. Bastava vederlo giocare una volta per innamorarsi del basket. Ma soprattutto di lui.

Stefano Benzoni            

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